Il digiuno è terapeutico?
Il digiuno è terapeutico? La privazione di cibo intermittente si è dimostrata utile nella riduzione del peso, ma bisogna specificare, che la sua efficacia non è superiore a quella di una semplice restrizione calorica
Il digiuno è terapeutico? La pratica del digiuno è conosciuta in tutto il mondo e accomuna diverse culture e religioni. Attualmente non è stato riconosciuta la pratica del digiuno come uno strumento terapeutico. Le uniche evidenze scientifiche che noi abbiamo sono riconducibili a studi effettuati su persone che hanno praticato il digiuno per motivi religiosi. I risultati di tali studi non sono attendibili, in quanto nella maggior parte dei casi i soggetti erano pazienti sani e non obesi.
I risultati derivanti da soggetti che hanno praticato il Ramadan sono del tutto contrastanti. Prima di tutto bisogna specificare che il Ramadan è una pratica religiosa che impone un’astinenza da cibo e bevande, dal sorgere del sole fino al suo calare. Nonostante il fatto che tale pratica non comporta un digiuno continuativo di 24 ore, offre un’importante visione circa gli effetti della restrizione calorica nel breve termine e cioè quello che oggi possiamo chiamare digiuno intermittente.
Ciò nonostante il campione considerato ha troppe variabili che rendono lo studio inconcludente. Le discrepanze relative ai risultati sono probabilmente implicate nelle differenze sostanziali della durata del digiuno, del consumo di farmaci, dello stato individuale del paziente e dello stile di vita.
Storia e digiuno terapeutico
Studi scientifici sono noti fin dalla fine dell’ottocento. Nel 1911 lo studio primordiale sul digiuno venne eseguito da Benedict e successivamente rielaborato e sperimentato da Cahill e collaboratori negli anni ’70. I pazienti erano soggetti normopeso, obesi, con o senza diabete di tipo 2 che vennero sottoposti a digiuno da 8 a 60 giorni.
Successivamente il digiuno apparve una pratica benefica, a livello terapeutico, da applicare ai pazienti con diabete mellito di tipo 2. Tale approccio scomparve poi con l’introduzione nella pratica clinica dell’insulina a partire dal 1922.
Successivamente intorno alla metà degli anni 60, venne utilizzata la pratica del digiuno come cura nel paziente epilettico, mostrando dei risultati positivi. Questo approccio alimentare nei confronti dell’epilessia viene studiato ancora oggi.
Nel 1915 con Folin e Denis si stavano già gettando le basi per un digiuno intermittente come possibile approccio per la cura dell’obesità. Dagli anni ’50 in poi la maggior parte dei dati a nostra disposizione arriva da volontari affetti da obesità, con l’obiettivo di ottenere un calo ponderale. Il periodo di digiuno maggiormente protratto e documentato in letteratura, raggiunse i 382 giorni consecutivi e portò un giovane di 27 anni a perdere 125 kg.
Il dilagante successo di alcune pratiche di digiuno nel paziente obeso, ha portato a casi di morte per acidosi metabolica o successivi alla reintroduzione alimentare post digiuno.
Per queste ragioni, si raccomanda la valutazione dei parametri biochimici e metabolici individuali da parte di un team di esperti.
Esistono diverse forme di digiuno che fanno sempre riferimento all’Intermittent Fasting, ovvero il digiuno intermittente.
Grazie alle pubblicità dei social media, libri e riviste fitness stiamo assistendo ad un vero e proprio interesse verso la pratica del digiuno intermittente come arma per una perdita ponderale efficace e con effetti benefici sul nostro organismo.
Principali pratiche di digiuno intermittente
- ADF Alternate Day Fasting, digiuno alternato caratterizzato da 24 ore di digiuno alternate a 24 ore di alimentazione senza restrizione, ad libitu;
- TRF Time restricted feeding, “alimentazione ad intervallo di tempo ristretto”. Essa consiste praticamente nel protrarsi del digiuno notturno dalle 12 alle 20 ore e mangiare il restante delle ore senza restrizione caloria ( 8-12 ore);
- mADF, alternanza di digiuno modificata rispetto alla prima che prevede un giorno senza restrizione calorica ed un giorno di regime ipocalorico restrittivo, che concede il 20-25% del fabbisogno giornaliero necessario. Questo schema è diffuso in letteratura scientifica sotto forma di schema 2:5, ovvero due giorni a settimana di semi-digiuno e 5 giorni di alimentazione ad libitum.
Il più diffuso programma di intermittent fasting è diffuso sul web e tra i praticanti di fitness con lo schema di 18:6. Questa tipologia di IF prevede il protrarsi del digiuno della notte fino a 18 ore, seguito da un regime alimentare senza restrizione calorica per le 6 ore successive.
Cosa dicono gli studi?
Gli studi che dimostrano una effettiva valenza scientifica del digiuno, come pratica benefica nei confronti del nostro organismo, sono scarsi o assenti.
Le lacuna sostanziale di tali studi risiede nell’affidabilità dei campioni analizzati. La maggior parte degli studi pubblicati al momento attuale presenta dei risultati che sono statisticamente a favore dell’impatto favorevole del digiuno sull’organismo, ma stiamo parlando di roditori.
Nel topo il digiuno ha confermato:
- Riduzione delle adiposità;
- Maggiore tolleranza al glucosio;
- Livello di colesterolo ridotti;
- Maggiore resistenza allo stress;
- Minore incidenza di insulino resistenza;
- Riduzione dei processi infiammatori.
Gli studi clinici randomizzati nell’uomo hanno confermato, in seguito ad una pratica di digiuno intermittente:
- Riduzione del colesterolo LDL;
- Riduzione dei trigliceridi del 40%.
Questi risultati però diventano poco significativi, se come gruppo di controllo, abbiamo un numero di persone limitato ed alimentato ad libitum.
Quale è la reale valenza della pratica del digiuno?
Dunque non esiste ancora oggi una risposta effettiva sulla reale valenza della pratica del digiuno. Inoltre a livello sperimentale è stato constatato, che la pratica del digiuno intermittente, presenta dei risultati sovrapponibili alla sola restrizione calorica.
Dunque, non vi è alcuna evidenza clinica sulla reale superiorità dell’intermittent fasting rispetto alla dieta ipocalorica.
Quello che si è osservato nei roditori, con benefici su diversi distretti dell’organismo, è stato successivamente ricollegato ad un ipotetica influenza positiva del digiuno sul ritmo circadiano.
Il digiuno terapeutico influenza il nostro orologio biologico?
Il ritmo circadiano governa diversi processi quali:
- Attività ormonali;
- Secrezioni;
- Proliferazione cellulare;
- Metabolismo corporeo;
- Sonno-veglia.
L’ipotesi principale è quella che una riduzione del timing alimentare possa portare ad un beneficio agendo sul ritmo circadiano. Questo è stato ampiamente dimostrato mediante studi scientifici su animali, che dimostrano come il ridimensionamento dell’intake calorico in un lasso di tempo limitato possa migliorare il “controllo” di processi come l’ invecchiamento cellulare.
Il limite teorico di questa ipotesi è dato principalmente dal differente assetto metabolico e fisiologico del nostro organismo nelle diverse fasi della giornata. Ad esempio, lo svuotamento gastrico durante la notte, risulta notevolmente rallentato. La tolleranza ad un carico di glucosio, durante la notte, è notevolmente diversa rispetto al giorno.
Le persone che sono costrette a mangiare di notte per motivi lavorativi, mostra una tendenza maggiore a sviluppare problemi alimentari. Evidenze scientifiche, dimostrano, che vi è una maggiore percentuale di insorgenza di obesità e sindrome metabolica in questi soggetti.
Inoltre il tutto è stato ampiamente dimostrato anche da un’evidente alterazione degli ormoni regolatori dell’appetito come la grelina, la leptina e la xenina.
Pertanto eventuali modifiche del timing degli alimenti che non rispettino il ritmo circadiano, potrebbe andare a peggiorare la situazione metabolica del paziente, portandolo verso lo sviluppo di patologie croniche.
Ma allora l’intermittent fasting funziona si o no?
Il digiuno intermittente si è dimostrato utile nella riduzione del peso, ma bisogna specificare, come già accennato, che la sua efficacia non è superiore a quella di una semplice restrizione calorica.
Una restrizione calorica, utile come pratica terapeutica per pazienti obesi, ha delle prove evidenti a livello scientifico e continua ad essere utilizzata con successo.
Per dare una reale risposta alla domanda se il digiuno è una pratica terapeutica o meno, sono necessari diversi studi a riguardo, contestualizzando i campioni analizzati e cercando di rispecchiare quanto più possibile situazioni vicine alla realtà mediante l’arruolamento di gruppi di controllo adeguati.
L’intermittent fasting potrebbe essere una pratica clinica utilizzata nei pazienti che presentano delle reali difficoltà nell’aderire alla restrizione calorica nel lungo periodo.
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A cura del Dr. Vincenzo Zottoli, Farmacista e Biologo